Appunti di Orologeria: Le Ruote Dentate in Orologeria

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A cura di Davide Munaretto

La storia

Le ruote dentate sono sempre stati gli organi principali di un orologio ed è proprio grazie a queste che nei secoli sorsi si è potuto dare vita al primo orologio meccanico.

Dai primi del 600 fino ai primi del 700 le ruote dentate venivano realizzate interamente a mano da abili artigiani.

Si partiva da una lastra che veniva battuta sull’incudine con diverse ricotture e battiture fino ad ottenere una superficie abbastanza uniforme e compatta di spessore omogeneo e ben incrudita.

Era questa la base di partenza dalla quale veniva poi ricavato il disco da intagliare.

Per la divisione del disco in quell’epoca sembra vi fossero delle “piattaforme” divise in parti uguali e forate nella parte centrale.

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Al centro della piattaforma veniva fissato il disco di Ottone da dividere che veniva poi opportunamente punzonato in corrispondenza delle divisioni necessarie ad ottenere il corretto numero di denti.

Le punzonature venivano probabilmente eseguite su due livelli diversi e stavano ad indicare una la sommità del dente e l’altra il vuoto fra un dente e l’altro.

Da questo si comprende come per creare una ruota ad esempio di 60 denti fosse necessari disporre di una Piattaforma con almeno 120 divisioni e per gli orologiai del tempo non doveva essere cosa troppo agevole, senza considerare poi che questo sistema poteva essere di semplice utilizzo per ruote di una certa dimensione come quelle per i pendoli ma si complicavano notevolmente quando si scendeva proporzionalmente.

Terminata la fase di bulinatura si passava poi a quella di intaglio che veniva anche questa eseguita completamente a mano per mezzo di lime e seghetti mentre le parti arrotondate del dente venivano eseguite certamente con lime specifiche.

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Queste piattaforme nel tempo subirono diversi aggiornamenti passando dalla divisione a raggi a quelle con forature perimetrali disposte su cerchi concentrici che oltre a consentire un maggior numero di divisioni e quindi maggior flessibilità di utilizzo erano anche più veloci, l’unica differenza era che queste ultime richiedevano l’uso di un compasso, ma la procedura era comunque semplice, precisa e veloce.

Quello che si otteneva era quindi una ruota i cui denti potevano presentare al centro del dente un piccolo punto che spesso veniva lasciato.

La fase successiva riguardava l’alleggerimento della ruota con la creazione delle razze e talvolta sulle ruote le cui dimensioni lo consentivano, l’orologiaio incideva con un bulino due “virgole” alla base del dente e questi sembra avessero il solo scopo di far apparire i denti di forma più aggraziata senza per altro indebolirne la struttura e quindi la resistenza meccanica.

Le macchine per intagliare i denti

004Il passaggio dalla Piattaforma alla macchina per fresare i denti come in tutte le cose non è stato sicuramente improvviso ma graduale infatti non si hanno riferimenti certi in merito alla sua data di nascita reale.

Una possibile anello evolutivo potrebbe essere passato proprio dalla modifica della prima Piattaforma alla quale vennero aggiunti dei supporti e delle guide che facilitassero l’intaglio dei denti, ma queste sono però supposizioni in quanto non si hanno prove certe dell’esistenza di queste macchine.

Questa quindi fu si ipotizza fu la strada che portò verso la fine del 600 alla realizzazione delle prime macchine per intagliare i denti che conglobassero sia la funzione del divisore, sia quella del taglio dei denti.

Una prima versione si ritiene fosse dotata di una slitta nella quale poteva scorrere la lama per il taglio del vuoto fra un dente e l’altro.

Questa soluzione oltre a velocizzare notevolmente il lavoro, lo rendeva nettamente più preciso.

   Esempio di ruota di Parigina fine 700.

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Nel 1709 comparve quella che si può a tutti gli effetti definire la progenitrice delle macchine moderne e che fu illustrata da Bion.

Rispetto a quella ipotizzata con la guida per la lama longitudinale di taglio, consiste proprio nell’applicazione di un dispositivo che consentiva l’adozione di una Lima rotante che essendo vincolata in una posizione fissa consentiva di eseguire un taglio con profondità molto precisa e meno dipendente dall’abilità dell’operatore.

Una volta tagliato il disco di diametro opportuno, come prima operazione, lo si montava sull’asse della macchina e per mezzo di un tensile posto alla periferia del disco lo si rendeva perfettamente circolare e concentrico.

Questo sistema oltre a garantire la concentricità del disco permetteva anche di segnare la circonferenza di base del dente in modo da avere un riferimento durante la fase di taglio, cerchio che in genere è facile trovare su tutte le ruote fagliate almeno sino alla metà del XVIII secolo.

Ottenuta la concentricità si poteva procedere al taglio dei denti e a tale scopo veniva scelta sulla piattaforma la serie di divisioni pari al numero di denti che doveva avere la ruota e non più il doppi come avveniva in precedenza.

Si faceva quindi appoggiare il braccio detto “Alidada” costituito da una robusta molla lineare fissata ad un lato della struttura e terminante con un perno conico sporgente sotto di essa su uno dei profondi punti della divisione.

La Piattaforma ed il disco ad essa solidale risultavano cosi rigidamente immobilizzati.

Facendo poi ruotare la lima circolare montata su un asse che aveva la possibilità di muoversi perpendicolarmente alla Piattaforma lo si accostava al bordo del disco che cominciava cosi ad essere intagliato.

Completato il primo taglio, si sollevava la lima circolare, poi l’Alidada e si ruotava la Piattaforma di una posizione o più posizioni se si adottava una divisione costituita da un multiplo intero del numero di denti da ottenere, e si procedeva fin tanto che tutti i denti non fossero stati intagliati.

La lima era originariamente messa in rotazione da un archetto a mano con moto alternato per tagli di ruote di piccole dimensioni, mentre per quelle dove gli sforzi di taglio erano maggiori si adottava un sistema a manovella.

Il moto di taglio era quindi abbastanza lento e solo in seguito con il perfezionamento degli utensili di taglio che da lime cominceranno ad avere dei taglienti più grossi e definiti e quindi cominciare a somigliare a vere e proprie frese che si opterà per maggiori velocità di taglio utilizzando sistemi di moltiplicazione con pulegge.

Il bloccaggio del disco subì diverse modifiche insieme all’evolversi delle macchine, nelle prime piattaforme questo veniva semplicemente serrato con un dado bloccato a sua volta con la Gommalacca in modo da prevenirne eventuali allentamenti involontari.

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Nei tipi più evoluti il disco forato veniva invece infilato su di un perno conico molleggiato, sporgente dal supporto e innestato sulla piattaforma, la conicità ne garantiva la centratura mentre il bloccaggio era possibile grazie ad un altro pezzo terminante a cono.

Questa sorta di cappuccio era tenuto in posizione da un grosso becco che poteva che aveva la libertà di muoversi su una robusta asta verticale che si innalza dalla struttura della macchina.

Il becco grazie ad una vite di serraggio forzava il cappuccio verso il supporto.

Ad evitare comunque che il disco potesse slittare durante le operazioni di taglio il supporto veniva dotato di una piccola dentatura che svolgeva la funzione di anti slittamento, questo perché eventuali slittamenti e quindi lo spostamento del disco ne avrebbe compromesso l’esatta divisione e quindi la precisione dei denti della ruota.

Queste macchine se pur semplici erano al contempo anche molto flessibili consentendo di tagliare ruote di diverse dimensioni e tipo con dentature di varia tipologia.

005Grazie alla possibilità di decentramento della fresa era anche possibile ricavare ruote con dentature “speciali” come ad esempio le Ruote Scappamento.

Uno dei limiti che però non tardò a presentarsi era dato dal taglio delle ruote scappamento dei primi orologi a Verga che cominciarono a divenire di moda alla fine del 700 in quanto cominciarono ad essere ricercati orologi che fossero sottili.

Ecco quindi che in quell’epoca nasce la variante dedicata esclusivamente al taglio di questa tipologia di ruote e anch’essa di piccole dimensioni rispetto a quella tradizionale.

Altro particolare problema relativo alla costruzione di questa particolare ruota era rappresentato dalla dimensione della fresa che oltre ad avere una forma convessa doveva essere oltremodo di piccole dimensioni, infatti molte di queste ruote hanno un diametro che non supera i tre millimetri e quindi la fresa doveva essere dimensionata di conseguenza e quindi non superare i sei millimetri di diametro.

Questa versione di macchine dedicata cessò di essere prodotta a cavallo degl’anni 30/40 del XIX secolo, quando cessò del tutto la produzione degli orologi a Verga.

Come abbiamo visto, le frese impiegate da queste macchine furono per lungo tempo delle semplici frese diritte ed inoltre non è neanche noto quando esattamente divennero disponibili sul mercato le frese che intagliavano il dente nella sua forma definitiva.

La forma ad Ogiva della sommità del dente cominciò a definirsi grazie agli studi condotti da Camus nel 1735 sulla dentatura epicicloidale che però troverà una applicazione generale solo molti decenni dopo con l’avvento delle prime frese rotanti.

Nei primi dell’Ottocento fecero la loro comparsa le prime macchine atte a rifinire grazie all’ausilio di speciali frese circolari, la sommità del dente realizzato fino a quel tempo a mano per mezzo di lime.

007 bisQueste particolari macchine vennero chiamate “macchine per arrondire” ovvero arrotondare, smussare e questo fu appunto possibile grazie all’’avvento di speciali frese di forma che grazie al loro profilo rendevano possibile la formatura del dente in un solo passaggio.

Queste macchine inoltre svolgevano anche l’importante compito di eliminare eventuali ovalizzazioni della ruota stessa o al recupero di denti ormai consunti grazie ad apposite procedure.

Per l’operazione di Arronditura si posizionava la ruota fra due contropunte verticali nelle quali si infilavano i perni dell’asse della ruota garantendo così una perfetta concentricità della periferia rispetto al suo asse.

La ruota veniva fatta appoggiare in piano su un supporto di diametro tale da lasciarla sporgere di poco più della lunghezza dei denti.

Il supporto quindi svolgeva il duplice compito di sorreggere convenientemente l’esile ruota indebolita dal taglio delle razze ed evitare che questa potesse flettere durante le operazioni di fresatura.

Anche nel caso delle frese per arrondire vi furono durante il corso degli anni delle migliorie fino a giungere a quella che è poi giunta quasi fino a giorni nostri, la produzione è infatti cessata negli anni cinquanta e che affermo definitivamente la totale intercambiabilità e disponibilità sul mercato delle parti di ricambio dell’orologio.

009Questa fresa prese il nome da colui che per primo la brevettò in Svizzera ovvero Carpano, allievo del Lavraive (o del padre non sappiamo) che però non si realizzo mai nella professione di orologiaio in quanto le sue frese ebbero un tale successo da costringerlo a dedicarsi solo alla loro costruzione.

Il suo utilizzo era molto semplice, era costituita da una fresa circolare diritta alla cui periferia era stato dato il profilo dell’incavo delle sue semi ogive fiancheggianti l’incavo stesso del dente.

La fresa e completa per soli due terzi della sua circonferenza e doveva venir usata in associazione ad una ingegnosa guida chela trasforma in una fresa elicoidale a passo variabile.

Una volta unita alla guida la parte mancante della circonferenza della fresa viene infatti completata da una lama d’acciaio elastico che potendo essere regolato da una vite, poteva essere sollevato in modo parziale dando così origine appunto ad un profilo elicoidale.

008bisQuesto fa si che quando la fresa è posta fra i due denti, la lama elastica ad una certo momento viene a trovarsi nell’incavo successivo e ad ogni rotazione, pertanto, la fresa passa automaticamente da un dente all’altro.

Questo sistema inoltre consente quindi di poter regolare il passo della fresa rendendola cosi impiegabile su ruote di diametro e numero di denti differenti.

Grazie al processo di arronditura era inoltre possibile recuperare ruote consunte senza necessariamente sostituirle.

Un sistema consiste nel picchiare con un martello i denti della ruota assottigliandoli ma anche allargandoli e nello stesso tempo incrudendo l’Ottone.

Una volta quindi deformato il dente si sceglie la fresa corretta per il profilo e si procede all’asportazione del materiale in eccedenza riportando cosi il profilo del dente al suo stato originale ed eliminando la parte usurata e come abbiamo visto ripristinando in contemporanea anche la concentricità al suo asse.

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In seguito alla cessazione della produzione delle frese Carpano, sul mercato si è subito sentita la necessità di trovare delle alternative che potessero consentire agli orologiai che ne fossero stati privi di poter proseguire la ricostruzione di ruote dentate principalmente per le operazioni di restauro.

Nascono cosi anche sulla base delle nuove tecnologie e delle nuove tipologie di frese chiamate a modulo due serie di frese di concezione moderna con profili ottimizzati atti a coprire quasi tutti i moduli delle vecchie ruote sia con denti diritti e radice piana che con profilo epicicloidale tipico dell’orologeria anche moderna.

frese_10 moduli10Queste frese sono state prodotte dalla Tecnoli e commercializzate dalla Bergeon fino al 2013 per poi cessarne produzione.

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Quello che abbiamo visto fino a questo momento ha riguardato le sole ruote dentate in genere realizzate in Ottone, ma rimane ancora da vedere come venissero realizzate nei secoli precedenti al XVIII secolo le piccole ruote d’acciaio con pochi denti che vennero poi chiamati Pignoni.

Le logiche con le quali venivano inizialmente prodotti non ci è dato di saperlo con certezza in quanto non ci sono giunte dettagliate notizie precedenti al 1763 infatti in quell’anno un famoso orologiaio dell’epoca Ferdinand Berthoud (1727-1807) da alla stampa il suo “Essai sur l’Horlogerie” precisando come possano essere eseguite completamente a mano queste importantissime parti dell’orologio.

La sua ampia descrizione non ha però finalità storiche ma tende solo a convincere gli artigiani che ancora non disponevano di macchine per intagliare i pignoni, inventate da pochi decenni, a rinunciare all’impiego degli sbozzi di pignoni trafilati, egli riteneva infatti che il tipo di acciaio usato per ricavare tali sbozzi non fosse altrettanto confacente con quanto di solito impiegato nella costruzione manuale dei pignoni e almeno negl’anni in cui scriveva non aveva torto.

007La tecnica che illustra esclude quindi l’uso di macchine specifiche ma richiede l’uso del Tornio e dopo aver montato tra le punte del Tornio l’asse dal quale ricavare il pignone già opportunamente tornito a dimensione corretta lo si rendeva solidale ad un disco divisore che di massima riportava un basso numero di divisioni in quanto in quell’epoca pignoni con più di dieci denti detti anche “Ali” costituivano una eccezione e in genere il numero di Ali andava da cinque a otto.

Con il pezzo bloccato dall’alidada che immobilizzava il disco divisore si incideva una riga con una punta guidata da apposito supporto sulla parte dell’asse di diametro maggiore dal quale ricavare il pignone vero e proprio.

008Il disco veniva poi ruotato di una posizione e veniva incisa una seconda riga proseguendo poi allo stesso modo fino al completamento delle divisioni.

Per ottenere quindi un pignone a sei denti si doveva disporre quantomeno di un disco ripartito in dodici parti in quanto una riga identificava il vertice del dente l’altra il centro del vuoto fra un dente e l’altro.

Completata l’operazione il futuro pignone veniva preso in un morsetto a mano e si provvedeva poi a creare i vuoti tra i denti tramite un seghetto o una lima a fendere.

In quel periodo erano disponibili numerosi tipi di lime da impiegare secondo lo stato di avanzamento del lavoro molto probabilmente molte di più di quanto non si disponga oggi.

Berthoud raccomanda di lasciare la riga che si era incisa sulla sommità del dente sino all’ultima fase della lavorazione al fine di poter verificare che la limatura rispetti la divisione ed insiste sulla necessità che vengano effettuati frequenti ed accurati controlli sulla uniformità di spessore dei denti.

Per ultimo si provvedeva alla tempra ed ad una accurata lucidatura della superficie dei denti per ottenere una buona scorrevolezza del ruotismo.

La lucidatura veniva realizzata con stecchi di legno di Faggio alle quali veniva data all’incirca la stessa forma e dimensione del vuoto tra i denti e si caricava il legno con una polvere abrasiva molto fine a base di Ossido di Ferro, cere e olii.

Ovviamente come per le ruote anche per i pignoni vennero inventate macchine che potessero facilitare il taglio delle ali con l’unica variante che invece di usare il tornio per tracciare, il lavoro veniva eseguito direttamente su una sola macchina con lime guidate e non a mano libera.

Le ogive però dovevano comunque essere rifinite a mano dall’artigiano a mezzo di apposite lime.

Seguiranno poi ovviamente macchine sempre più sofisticate dotate di lime speciali in grado di finire le ogive un po come abbiamo visto per l’arronditura delle ruote.

Anche per la lucidatura venne poi pensata una macchina che potesse velocizzare le operazioni di finitura delle ali.

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La macchina era dotata di due contropunte fra le quali si alloggiava il pignone che rimaneva libero di ruotare su se stesso.

Le contropunte sono montate a loro volta su di una slitta che veniva mossa orizzontalmente con moto alterno da un manovellismo fissato eccentricamente su una puleggia.

Quest’ultima è collegata tramite una cinghietta ad un’altra puleggia coassiale ad un asse sul quale è montato un grande e sottile disco di legno di Quercia.

L’asse è sostenuto da un braccio è incernierato alla base.

Mettendo in rotazione il disco con il solito sistema dell’archetto si mette in rotazione anche la puleggia con il suo manovellismo facendo muovere la slitta e quindi il pignone longitudinalmente in senso alterno sotto al disco di legno del diametro di una quindicina di centimetri che oltre ad essere foggiato in modo da toccare tutta la superficie dell’incavo del pignone è caricato di polvere abrasiva che svolge la funzione di lucidatura.

Nei primi modelli ogni volta che ultimava la lucidatura di un dente si doveva ruotare il pignone nella posizione successiva per poi ripetere tutta l’operazione, ma presto grazie ad un semplice artifizio venne evitato l’intervento manuale.

In pratica il disco venne tagliato lungo il suo raggio e all’interno dell’intaglio si inseriva n piccolo cuneo che grazie anche all’elasticità del legno faceva si di creare un disallineamento fra le due parti del disco conferendogli quindi un profilo elicoidale.

Questo faceva si di “Ingranare” con il Pignone ad ogni giro del disco facendolo ruotare senza il bisogno di intervenire manualmente.

Dimensionamento delle ruote dentate

Prima di addentrarci in quelli che sono i parametri che determinano una ruota dentata, è bene ricordare che le ruote dentate moderne seguono un profilo unificato e normato detto “profilo ad evolvente” e questa tipologia di profilo è ormai utilizzato a livello internazionale in quanto consente l’accoppiamento di tutte le ruote con lo stesso profilo e caratteristiche costruttive.

Nell’orologeria invece, ancora ai tempi nostri si è mantenuto il vecchio profilo epicicloidale che ha caratteristiche leggermente differenti sia per quanto riguarda la forma del dente sia per la possibilità di accoppiamento delle ruote che devono seguire calcoli che tengano conto si parametri correttivi in funzione del tipo di accoppiamento e numero di denti fra ruota e pignone.

Attualmente le frese che vengono prodotte e quindi le ruote seguono un profilo che viene definito a cicloide corretta in quanto riuscire a riprodurre il profilo preciso è sempre molto complicato.

Tutte le ruote dentate hanno dei parametri costruttivi ben precisi con i quali è possibile grazie a determinate relazioni matematiche determinare tutte le dimensioni della ruota stessa.

Per convenzione si è stabilito che il punto di contatto fra due denti in fase di ingranamento debba cadere sull’incrocio di quelli che vengono definiti diametri primitivi.

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Il diametro primitivo e il numero dei denti determinano il “modulo” della ruota che viene definito dalla relazione

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Questa può essere considerata come la relazione fondamentale per il dimensionamento delle ruote dentate.

Nel calcolo pratico, se si parla di profilo epicicloidale vi sono dei parametri correttivi tabulati che servono al corretto dimensionamento del profilo dei denti fra due ruota e pignone.

Senza entrare troppo nel merito dei calcoli riporto le formule di calcolo necessarie a dimensionare una ruota con relativo pignone.

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Come per le ruote anche per i pignoni valgono le stesse considerazioni ma si deve tener conto di specifici fattori correttivi che sono stati tabulati in funzione del profilo che il dente o Ala del pignone assume in funzione del numero di questi.

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Dalla teoria alla pratica

Siamo arrivati quindi ai giorni nostri, la tecnologia ha fatto passi da gigante e le macchine per il taglio delle ruote si sono trasformate in macchine a controllo numerico, ma nel piccolo mondo del restauro le cose sono rimaste più o meno invariate.

Certamente oggi è possibile avvalersi di divisori molto più sofisticati e precisi e di frese a modulo molto performanti ma quando ci troviamo a dover rifare una ruota del passato i problemi, se non si conosce la storia e le tecniche del tempo, si presentano subito ancora prima di iniziare il lavoro.

Quello che spesso capita di dover fare durante il restauro di un vecchio orologio è la riparazione di ruote che a causa di inconvenienti generalmente dovuti alla molla di carica, si sono lesionate riportando denti mancanti o piegati.

In certi casi la ricostruzione completa della ruota diventa poco conveniente e prevale quindi la necessità di riportare solo i denti lesionati.

Ridimensiona diingranaggi 3bPer l’esecuzione di questa operazione si deve quindi procedere secondo le logiche del restauro cercando di realizzare i denti mancanti con modalità quanto più simili alle originali.

Uno dei sistemi più in uso in caso di riporto di più di un dente, è quello che consiste nel realizzare un innesto a coda di rondine (D) accoppiando cosi alla ruota una porzione di Ottone di opportuno spessore (E).

L’innesto viene poi saldobrasato per migliorarne la tenuta per poi procedere all’intaglio dei denti mancanti.

Come detto questa operazione in mancanza di frese a modulo opportune, cosa che con le ruote antiche è una certezza, si esegue secondo i canoni visti fino a questo momento ovvero fresando i vuoti con una fresa a disco di opportuno spessore che equivale poi alla meta del Passo della ruota (A).

Eseguito l’intaglio si può procedere alla finitura delle parti arrotondate o utilizzando lime opportune (B, C) oppure se si dispone di una macchina per arrondire e si ha la fortuna di avere la giusta fresa Carpano si procede con quella come visto in precedenza.